IL GIUDICE DI PACE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letto  il ricorso ex art. 22 e 23 legge 24 novembre 1981, n. 689,
iscritto  al  n. 179/04  R.G.A.C di quest'Ufficio promosso da Messina
Daniele   elettivamente  domiciliato  nello  studio  dell'avv. Angelo
Calzone,  via  Spogliatore  -  Vibo  Valentia,  che  lo rappresenta e
difende,   giusta   procura   a  margine  del  ricorso  introduttivo,
opponente;
    Contro  Ufficio  territoriale  del  Governo  di  Vibo Valentia in
persona del prefetto pro tempore opposto;
    Avente    ad    oggetto    ricorso    in    opposizione   avverso
ordinanza-ingiunzione  del  prefetto di Vibo Valentia del 26 febbraio
2004, notificata il 16 marzo 2004 n. 4066/Area IV.

                                Fatto

    Con  ricorso  depositato  in  data  6 aprile  2004, il ricorrente
proponeva  rituale  opposizione  avverso  l'ordinanza-ingiunzione del
prefetto  di  Vibo  Valentia  in epigrafe con conseguente irrogazione
della  sanzione  di  Euro  121,37, oltre la sanzione accessoria della
confisca del veicolo Piaggio Salit NTT telaio n. 3016121. L'opponente
impugnava il verbale nel merito per violazione di legge.

                               Diritto

    Esaminati  gli  atti,  questo  giudice  rileva come il ricorso in
opposizione a sanzione amministrativa sia stato depositato, presso la
cancelleria in data 6 aprile 2004, non accompagnato dalla ricevuta di
versamento  della somma pari alla meta' del massimo edittale previsto
per la sanzione inflitta dall'organo accertatore.
    Tale  obbligo,  previsto  a pena di inammissibilita' del ricorso,
scaturisce   dall'art. 204-bis,   d.lgs.   30 aprile   1992,  n. 285,
introdotto  della  legge  1° agosto  2003,  n. 214 di conversione del
decreto-legge 27 giugno 2003 n. 151.
    Detta  legge,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 186 del
12 agosto  2003  - suppl. ord. n. 133, e' entrata in vigore il giorno
successivo  a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
e, pertanto nel caso in questione, doveva essere osservata.
    Questo  giudice,  ritiene che l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile
1992  n. 285,  introdotto  della  legge 1° agosto 2003 n. 214, che ha
convertito  in legge con modificazioni il d.l. 27 giugno 2003 n. 151,
non  sia  conforme  alla Costituzione ed intende, pertanto, sollevare
d'ufficio,  come  in  effetti solleva, incidente di costituzionalita'
nei termini che seguono.

                   Sulla rilevanza della questione

    Nel  caso  de  quo  il collegamento giuridico, e non gia' di mero
fatto,  tra  la  res giudicanda e la norma ritenuta incostituzionale,
appare del tutto evidente.
    Infatti  ove  si  ritenesse  l'art. 204-bis, legge 1° agosto 2003
n. 214,  conforme  alla  Costituzione  il ricorso andrebbe dichiarato
inammissibile,  mentre  ove,  per  contro,  si  ritenesse il predetto
disposto  in  contrasto  con  la Costituzione la suddetta opposizione
dovra' essere esaminata nel merito.

                  Sulla non manifesta infondatezza

    Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
    Per  ritenere  l'art. 204-bis  del  d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285,
introdotto  dalla  legge  1° agosto  2003 n. 214 che ha convertito in
legge,  con  modificazioni,  il  d.l. 27 giugno 2003, n. 151 conforme
alla Costituzione occorrerebbe affermare che la diversa posizione che
il  legislatore  ha riservato a cittadino e pubblica amministrazione,
oltre  che  a  cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi
alcun precetto costituzionale.
    Tale assunto, tuttavia, non viene condiviso da questo giudice, in
quanto   la   normativa   in  parola  lede  il  diritto  fondamentale
dell'individuo espressamente tutelata dall'art. 3 della Costituzione,
ponendo   i   soggetti  abbienti  e  non  abbienti  su  un  piano  di
diseguaglianza  fra  loro  permettendo esclusivamente al soggetto che
sia  in possesso di una somma di denaro addirittura doppia rispetto a
quella  che  gli  consentirebbe  di  definire  la  pendenza  mediante
pagamento  in  misura  ridotta,  di  poter  tutelare i propri diritti
proponendo ricorso al giudice di pace.
    Non  e'  sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe
comunque  possibile  presentare  ricorso  al  prefetto in quanto tale
procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione, sia in quanto
a  maggior  ragione cio' evidenzierebbe come il ricorso al giudice di
pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente
ai  soggetti  facoltosi, sia in quanto la scelta di tutelare i propri
diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini sul piano
economico  e  sociale  limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza
degli stessi.
    Del  tutto  evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto
che  questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura
in  quanto  l'art. 3  della  Costituzione  prevede  che compito della
Repubblica   e'  rimuovere,  non  gia'  creare,  ostacoli  di  ordine
economico   e   sociale  che,  limitando  di  fatto  la  liberta'  ed
uguaglianza  dei  cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana.
    Peraltro,  il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede
altresi' l'art. 2 Cost. che sancisce il valore assoluto della persona
umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo.
    Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
    L'ingiustificato  ostacolo  imposto per la tutela dei diritti del
cittadino  nella  sola  sede  giurisdizionale contrasta con l'art. 24
Cost.,  il  quale  espressamente  prevede  che tutti possono agire in
giudizio  per  la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi ed
aggiunge  che  la  difesa  e'  un diritto inviolabile in ogni stato e
grado del procedimento. La sola lettura della norma costituzionale fa
apparire  il  netto  contrasto di quest'ultima con l'art. 204-bis del
d.lgs.  30 aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003,
n. 214  che  ha  convertito  in  legge  con  modificazioni,  il  d.l.
27 giugno 2003, n. 151.
    Infatti  l'imposizione del versamento della cauzione previsto per
la  tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale
oltre a rappresentare un ingiustificato quanto ingiusto vantaggio per
l'autorita'  opposta  che,  a  differenza  dell'opponente, in caso di
vittoria    ha   immediatamente   a   propria   disposizione   quanto
eventualmente  dovuto,  non  assicura  la  possibilita'  di  agire in
giudizio  per  la  tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a
coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica,
in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa.
    Peraltro e' indubbio che l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992
n. 285,   introdotto   dalla  legge 1° agosto  2003,  n. 214  che  ha
convertito  in  legge  il d.l. 27 giugno 2003, n. 151 nell'indurre il
ricorrente,  di  fatto,  a desistere dal tutelare i propri diritti in
sede   giurisdizionale,   scoraggia   l'unico  mezzo  di  tutela  che
quest'ultimo  ha  a  propria disposizione soggetto al principio della
soccombenza,  costringendo  o  comunque  inducendo i meno facoltosi a
presentare ricorso al prefetto per la tutela dei propri diritti, sede
in  cui  in  caso  di accoglimento dell'opposizione il ricorrente non
viene  affatto  rifuso  non  solo delle eventuali spese sostenute per
l'assistenza  di  un  professionista,  ma  neppure  delle  spese vive
sostenute.
    Si  deve  concludere  che il fondamentale diritto alla difesa non
puo' essere condizionato al pagamento di una cauzione. Tale principio
e'  stato  gia'  riconosciuto  dallo  stesso  giudice delle leggi con
sentenza  n. 8/1993  quando  ha  ritenuto  che  il  mancato od omesso
versamento  di  una  imposta  di  bollo non puo' essere ostativo alla
produzione  in giudizio di documenti o difese scritte. Aggiungasi che
neppure  il  mancato  pagamento del contributo unificato per le spese
degli  atti  giudiziari, ex art. 16 d.P.R. n. 115/2002 risulta essere
ostativo  all'accesso al servizio della giustizia, essendosi statuito
che  «in  caso  di  omesso  o  insufficiente pagamento del contributo
unificato, si applicano le disposizioni di cui alla parte VII, titolo
VII  del  presente  testo  unico e nell'importo iscritto a ruolo sono
calcolati gli interessi legali, decorrenti dal deposito dell'atto cui
si collega il pagamento o l'integrazione del contributo».
    Con  l'art. 204-bis  del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, introdotto
dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge il d.l.
27 giugno  2003  n. 151,  statuendosi  l'obbligo del versamento della
cauzione,  a  pena  di  inammissibilita' del ricorso, si introduce di
fatto  una  anomala  figura  di imposta solve et repete che, cacciata
dalla  porta  con  sentenza  del  giudice delle leggi n. 21 del 1961,
trova modo di rientrare per la finestra.
    Ne'  si  dimentichi  che la stessa Corte costituzionale (sent. 29
novembre 1960, n. 67) dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'art.
98 del c.p.c., che prevedeva proprio il potere del giudice di imporre
una  cauzione  alla parte, con conseguente estinzione del giudizio in
caso di mancato versamento. Ed inoltre sul rilascio di copie conformi
uso  appello  di  sentenze  non  registrate  (sent.  n. 80  del 1966;
sull'obbligo    nell'indicazione    nell'atto   di   precetto   della
registrazione  dei  contratti  di  locazione, della dichiarazione dei
redditi  e delle ricevute I.C.I. (sent. n. 333 del 2001; sul rilascio
di copie esecutive di atti non registrati (sent. 522 del 2002).
    Ritiene   pertanto   questo  giudice  che  l'art. 16  del  d.P.R.
n. l15/2002 puo' essere indicato quale tertium comparationis rispetto
all'art. 204-bis  C.d.S. in quanto il primo elimina l'irricevibilita'
degli  atti  giudiziari  in caso di omesso od insufficiente pagamento
del  contributo  unificato anche per somme ingenti, mentre il secondo
introduce   una   cauzione   a   volte   anche  elevata,  a  pena  di
inammissibilita', per avere accesso alla giustizia.
    Si deve concludere che nel caso in esame - vertendosi tra l'altro
nella  operativita'  della  legge n. 689/1981 che consente il ricorso
diretto  del  cittadino  alla  giustizia  in un procedimento snello e
privo di eccessivo formalismo - il versamento della cauzione non puo'
ritenersi   un  onere  allo  scopo  di  assicurare  al  processo  uno
svolgimento  meglio  conforme  alla  sua funzione bensi' un onere che
mira   esclusivamente   al  risultato  di  precludere  od  ostacolare
l'esperimento della tutela giudiziale, con la conseguenza che l'onere
imposto  non puo' non incorrere nella sanzione di incostituzionalita'
risolvendosi  di  fatto  in  una compressione del diritto alla tutela
giurisdizionale, costituzionalmente garantito.